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La lingua e il boia

Benito La Mantia

La lingua e il boia

(Il processo inquisitoriale a Niccolò Franco)

Edizioni Sicilia Punto Elle, 1999, pagine 160, lire 15.000

Il libro tratta della vicenda giudiziaria di uno dei dieci scrittori di gazzette e brevi scritti, veri e propri antenati del giornalismo contemporaneo, condannati a morte nello Stato della Chiesa dal 1570 al 1737.

Sotto il brutale e sanguinario governo papale si rischiava la vita per poche righe messe sulla carta, mentre autori dei più gravi delitti se la potevano cavare grazie ai mille privilegi e immunità che favorivano il fiorire del crimine nello Stato Pontificio.

Il Franco è una specie di nuovo Savonarola che finisce condannato a morte non per proposizioni eretiche, è stato infatti in vita e fino al palco dell’esecuzione un normale cattolico, ma per la critica ad un particolare papa: per il Savonarola fu l’erotomane e nepotista Alessandro VI Borgia, per Franco fu il forcaiolo ma integerrimo Paolo IV Carafa.

Quest’ultimo fu responsabile di gravissimi crimini contro l’umanità: roghi, impiccagioni, decapitazioni, torture, massacri, deportazioni. Suoi parenti e favoriti perpetrarono impuniti omicidi e ruberie colossali. Il Franco ebbe il coraggio di scrivere un libello contro di lui, ovviamente anonimo, in cui raccontava tali nefandezze ma l’Inquisizione, sulla base di alcune spiate, poté comunque identificarlo.

Subito arrestato, fu sottoposto a ben cinque sedute di tortura ed infine condannato a morte per impiccagione senza rogo in quanto, come si diceva, non fu ritenuto colpevole di eresia bensì, in sostanza, del crimine di lesa maestà: il papa era assimilato ai monarchi ed allora per chi offendeva un sovrano la pena era immancabilmente la morte.

Il testo ci consente di seguire il processo passo per passo poiché, raro caso, il verbale è giunto fino a noi e pubblicato nel 1955 da monsignor Mercati: la sua salvezza è dovuta al fatto che fu conservato nell’archivio segreto del Vaticano e non in quello dell’Inquisizione romana, appunto perché trattasi di crimine di Stato e non di eresia.

Il Franco non è l’unica vittima dell’Inquisizione processata insieme a lui: furono arrestate e torturate altre persone. Nel caso di Tommaso Campanella l’impressionante verbale riportato nel testo registra le frasi di disperazione e i lamenti dei detenuti torturati.

Il fanatismo cattolico di quell’epoca era giunto al punto di arrestare perfino alcuni cardinali, come il cardinal Morone, che passarono vari anni nelle carceri dell’Inquisizione. Nel testo c’è anche la terribile descrizione del massacro dei valdesi della Calabria avvenuto nel 1561.

L’atteggiamento anticlericale di Niccolò Franco è ben illustrato nel testo:

  • si scaglia contro l’Iindice dei libri proibiti, che per lui era degno di riso e vituperio
  • ingiuria papa Carafa affibiandogli un’infinità di epiteti tra cui i più pittoreschi sono “sodomita imbriaco”, “paulo ladro”, “malnato lupo”, “papa diavolo”, “santoccio collotorto”, “sbattegiato stronzo del pontefice cristiano” ecc.

In conclusione questo è un ottimo testo divulgativo che si presta a far comprendere anche al lettore non specialista i mostruosi crimini del papato del ‘500: un’epoca di barbarie particolarmente efferata all’interno di una storia generale del cristianesimo in cui le atrocità non sono mai mancate.

Piero Marazzani, maggio 2000