I Fisici italiani
Paolo Rossi e Adele La Rana
I Fisici italiani
(Dal Rinascimento al Risorgimento A-Z)
Società Italiana di Fisica, Bologna, 2020, pagine 137, euro 25,00
Saggio scientifico-biografico che raccoglie in ordine alfabetico brevi biografie di
circa 200 fisici itaiani vissuti tra il XV e il XVIII secolo. Siamo quindi in un
epoca in cui qualunque scienziato poteva essere arrestato per ordine
dell’Inquisizione, professori universitari compresi. Ciò era già accaduto più
volte nel Medioevo, vedi il caso del filosofo, medico e traduttore scientifico
Pietro d’Abano Terme, arrestato più volte con sequestro e distruzione dei suoi
scritti.
Nell’Introduzione è completamente ignorato il ruolo nefasto dell’Inquisizione
anche sui fisici italiani, almeno qualche riga si poteva riservarla a tale
istituzione da sempre nemica del libero pensiero scientifico.
Il caso più noto citato in questo libro è ovviamente quello di Galileo “le cui
carte più compromettenti” furono salvate dalle ire del dogmatismo cattolico da
Aggiunti Niccolò, citato all’inizio del volume.
Ma già alla prima voce Affaitati Fortunio il testo rivela carenze storiche in
quanto ignora l’esistenza del Dizionario Storico dell’Inquisizione in cui risulta
un suo parente Affaitati complice di ebrei tornati alla loro fede dopo una finta
conversione e quindi eretici. L’affermazione del testo secondo cui nel 1555
“Morì annegato nel Tamigi, ma non è noto se la causa fu accidentale o
volontaria” andrebbe così corretta: “Morì annegato nel Tamigi, probabilmente
suicida per timore di finire arrestato, torturato e bruciato sotto il regno di
Maria detta la Sanguinaria (1553-1558), in quanto sospetto fautore di eretici”.
Anche la voce Agnesi Maria Gaetana andrebbe modificata poiché risultano nel
citato dizionario due frati inquisitori a Reggio Emilia, suoi contemporanei col
suo stesso cognome, e la studiosa è figlia di un professore universitario di
Bologna. All’affermazione del testo “Benedetto XIV volle offrirle la cattedra di
matematica all’università di Bologna” andrebbe aggiunto “forse anche grazie ai
buoni uffici di due frati inquisitori, suoi parenti”. Le somiglianze col caso Ipazia
sono evidenti: entrambe figlie di un matematico, entrambe donne con capacità
di livello universitario ma, memore della brutta fine di Ipazia, la studiosa
settecentesca che conosceva bene la letteratura greca “non volle mai salire sulla
cattedra”. Il suo abbandono degli studi fisico-matematici per dedicarsi a opere
di carità fu un danno di proporzioni incalcolabili per la scienza italiana e non
solo.
Alla voce Algarotti Francesco manca l’informazione che il suo libro
“Newtonismo per le dame” fu messo all’Indice dall’Inquisizione nel 1738.
Alla voce Aproino Paolo, canonico a Treviso e collaboratore di Galilei, si
documenta come “non pubblicò nulla e il suo archivio andò disperso” forse a
causa dei “continui dissidi” con ambienti clericali reazionari.
Alla voce Biancani Giuseppe si omette che si vide censurare dall’Inquisizione il
suo libro “Aristotelis loca mathematica” nel 1615.
Le voci Castelli Benedetto, Luino Francesco Antonio, Malfatti Gianfrancesco
documentano varie intromissioni anche di sospetto carattere religioso nelle
nomine alle cattedre di Fisica.
Alla voce Conti Antonio Schinella manca un intervento dell’Inquisizione contro
la ristampa di un importante testo scientifico da lui promosso a Padova.
Alla voce Della Porta Giovanni Battista manca l’informazione che fu processato
dall’Inquisizione a Roma, si salvò la vita solo pentendosi, vari suoi libri finirono
all’Indice dei libri proibiti.
Alla voce Manzini Carlo Antonio, astronomo e matematico, si apprende che
“inizialmente vicino alle idee di Galilei, ne prese le distanze dopo che questi fu
sottoposto a processo per eresia”.
Alla voce Rampinelli Ramiro, monaco olivetano e matematico si segnala che
“alcuni suoi manoscritti di matematica e di fisica, sono invece andati perduti”,
forse distrutti dagli altri monaci, vedi la voce Ricca Massimiliano.
Il professor Renieri Vincenzo, cattedratico a Pisa, per non rischiare processi
dall’Inquisizione e relativi danni alla sua carriera accedemica,
fece pubblicare studi sulle “tabelle galileiane” dei satelliti di Giove “solo nel
1647, dopo la sua morte”.
Alla voce Ricca Massimiliano, frate scolopio cattedratico di fisica a Siena, si
segnala come “non restano suoi scritti didattici o di ricerca relativi alla fisica”.
Tale stranezza si può spiegare con il tradizionale rogo post mortem degli scritti
non religiosi fatti da frati o monache. Vedi ad esempio le lettere di Galilei alla
figlia monaca, tutte sparite, o il rogo degli scritti scientifici del monaco Mendel
(1).
Alla voce Torricelli Evangelista manca la notizia che le sue opere non furono
subito date alle stampe per “considerazioni di cautela” essendo stato
collaboratore di Galilei (2).
Da segnalare a parte le voci relative a Bruno Giordano e Galilei Galileo: al
nolano è riservato ampio spazio per alcune sue importanti elaborazioni di
carattere scientifico. Bruno “fu arso vivo in Campo de’ Fiori il 17 febbraio
1600”, però manca ogni riferimento al rogo di tutti i suoi scritti avvenuto in
quello stesso giorno sui gradini di piazza San Pietro in cui avrebbero potuto
esservi anche testi di interesse per la Storia della Fisica.
Al fisico pisano è giustamente riservato ancora più spazio e una piccola foto in
copertina. Si minimizza il ruolo persecutorio del papato e dell’Inquisizione: non
“fu chiesto a Galilei di presentarsi davanti al Sant’Uffizio” , frase che si presta
ad equivoci, ma bensì “fu obbligato a presentarsi davati al Sant’Uffizio di
Roma” nonostante precisi certificati medici che sconsigliavano il viaggio da
Firenze a Roma.
Inoltre il professor Galilei fu esplicitamente minacciato di tortura e quindi la
frase “Nel 1633 si svolse il processo, che terminò con la condanna e
l’imposizione dell’abiura” andrebbe così modificata “Nel 1633 si svolse il
processo, in cui Galilei fu esplicitamente minacciato di tortura, che terminò con
la condanna e l’imposizione dell’abiura” (3).
Infine c’è la questione delle possibili origini ebraiche di Alessandro Volta: nel
paragrafo “Famiglia e formazione” si ignora la questione.
Comunque taluni studiosi affermano che i Volta “sono di origine sefardita
spagnola” arrivati a Volta Mantovana e poi a Mantova per poi convertirsi ed
emigrare a Como (4).
Note:
1) R.Marantz Henig, Il monaco nell’orto, Garzanti, 2001, p.169.:”Poco dopo
la morte del monaco Mendel, tutte le sue carte personali e scientifiche
vennero bruciate in un grande falò nel cortile del monastero”
2) Dizionario Storico dell’Inquisizione pag. 1318
3) Dizionario Storico dell’Inquisizione pag. 639, non sapremo mai se tale
minaccia fu solo orale oppure con trasporto dello scienziato all’apposita
sala sotterranea per una visione diretta degli orribili strumenti allora
presenti nel Palazzo del Sant’Uffizio adiacente alla basilica di San
Pietro 4) Autori Vari, Arturo Dalla Volta, Ediz. Il Varco,
2014, pagina 46. Comunque le voci wikipedia del comune di Volta
Mantovana né quella della comunità ebraica di Mantova nulla dicono
sulla questione. Rimane di sicuro solo l’abitudine di molti ebrei di avere
cognomi con riferimenti geografici: i Volta di Como hanno tale cognome
perché possibili originari di Volta dove esistevano un tempo degli ebrei. Il
Dizionario Storico dell’Inquisizione riporta un Volta da Como giudice
inquisitoriale a Reggio Emilia nel ‘700 a pagina 1306.Vari Dizionari dei
Cognomi, consultati alla voce Volta, nulla dicono.
Pierinomarazzani.it luglio 2023